Oratorio di Nostra Signora di Castello

Confraternita N.S di Castello : le casse

Le casse del Venerdì Santo custodite dalla confraternita di N.S di Castello sono tre:, il Cristo morto, la Deposizione dalla Croce, La Pietà.

 Cristo Morto in croce: La tradizione vuole che sia opera di ignoto di scuola romana del XVI secolo e che sia un dono dei Della Rovere alla confraternita di Nostra Signora di Castello alla quale questi appartenevano. Si tratta di un Crocifisso processionale successivamente adattato a “cassa” e arricchito di putti barocchi opera , forse, del genovese Bartolomeo Musso. Tali angioletti quando non sono sulla cassa, si trovano posizionati sulla balaustra dell’organo. La figura di Cristo rivela nella profonda umanità sofferente del volto, una adesione alla cultura tardo-rinascimentale. La cassa venne restaurata nel 1996. I portatori sono 20 per posa con altrettanti cambi.

La deposizione dalla Croce: Opera di Filippo  Martinengo detto il “Pastelica”

( Savona 1750-1800)  risalente al 1793 circa, con i suoi 18 quintali è la più pesante delle casse processionali. È  composta da sette figure disposte secondo uno schema piramidale: in basso si trovano Maria di Cleofa e Maria Maddalena che piangono sorreggendo la Madonna svenuta dal dolore; al di sopra si erge la grande croce, ai lati della quale Giuseppe d’Arimatea sulla scala in alto, Nicodemo su un’altra scala più in basso e Giovanni Evangelista a terra, sono impegnati nel tirare giù dalla croce il corpo senza vita di Cristo. Venne restaurata nel 1996. I portatori sono 26 per posa con altrettanti cambi. È custodita nella vetrina a sinistra guardando l’altare.

La Pietà: Scolpita nel 1833 dal savonese Stefano Murialdo detto “Crocetto” ( Savona 1776-1838), probabilmente allievo del Martinengo, e confratello di N.S di Castello,  venne ritoccata e migliorata dal Brilla nel 1842. Restaurata nel 2001. La rappresentazione del dolore della Madonna, con il petto trafitto da spade è ripreso dalla tradizione popolaresca; gli angioletti portano in mano gli strumenti della Passione di Cristo.  I portatori  sono 12 per posa con altrettanti cambi.

Il Polittico della Rovere.

Il Polittico della Rovere è una delle più importanti opere pittoriche rimaste sul territorio ligure, anticamente adornava l’altare maggiore della antica cattedrale sulla rocca del Priamar, mentre ore è custodita nell’ oratorio di Nostra Signora di Castello, in via Manzoni, a Savona.

Una fonte scritta, attribuita al notaio savonese Ottobono Giordano vissuto nel corso del Cinquecento, contiene una descrizione della Cattedrale di Santa Maria Assunta sul Priamar che assume toni entusiastici quando si sofferma sul sontuoso apparato di dipinti, sculture marmoree, legni intagliati che adornavano la cappella maggiore della chiesa.

Ottobono sosteneva che quell’insieme  di opere rendevano la parte absidale dell’ antico Duomo simile ad “un Paradiso”.

Purtroppo però quel “Paradiso” venne annientato quando la Repubblica di Genova riuscì ad avere la meglio su Savona nel 1528, e decretò che nel centro civile e religioso di Savona venisse edificata una poderosa fortezza, che ancora oggi domina la città.

La Cattedrale descritta da Ottobono Giordano venne abbandonata e abbattuta.

Malgrado ciò i savonesi cercarono di trarre in salvo il maggior numero di arredi possibile.

Oltre a molti oggetti lapidei, e pregevolissime oreficerie, fu tratto in salvo l’imponente coro ligneo a tarsie, e il meraviglioso Polittico della Rovere che campeggiava sopra l’altare maggiore, proprio quest’opera aveva suscitato quella sensazione paradisiaca nel notaio savonese.

Il Polittico, dato che non poté trovare collocazione nella nuova Cattedrale, consacrata nel 1605, fu acquistato dalla Confraternita di Nostra Signora di Castello nel 1600, anch’essa sfrattata dalla zona del Priamar.

Il Polittico è opera di Vincenzo Foppa (Brescia 1427-1515), il quale si avvalse della collaborazione di Ludovico Brea di Nizza( 1450 circa + Nizza 1523) e di maestri dell’intaglio, e fu completato nel 1490.

Questo vasto complesso è stato oggetto di vari interventi di restauro, da quello del 1755, al quale si devono delle modifiche dell’assetto architettonico originale, ad altri nel corso del Novecento, fino a giungere all’ultimo restauro durato dal 2001 al 2006. Il Polittico fu commissionato al Foppa dall’allora cardinale, savonese, Giuliano della Rovere, (vescovo di Ostia dal 1483 e cardinale di san Pietro in Vincoli dal 1471)  il futuro Papa Giulio II, che riteneva il Foppa il più grande pittore lombardo allora sulla piazza.

Foppa radunò un equipe che comprendeva almeno due intagliatori, uno di cultura nordica ( autore delle statue dell’arcangelo Gabriele e della Vergine Annunziata), e l’altro ligure-lombardo, che pare tradusse nel legno precisi suggerimenti del pittore bresciano. L’opera iniziata prima del 1489 dal Foppa venne interrotta a  causa degli impegni a Pavia di quest’ultimo, tanto che la comunità savonese indirizzò un reclamo al governatore della città lombarda, Erasmo Trivulzio, affinché sollecitasse l’artista a tornare in Liguria, il governatore a sua volta scrisse al duca di Milano  Gian Galeazzo Maria Sforza, i quale sollecitò il Foppa che decise di chiamare in suo aiuto il pittore nizzardo Ludovico Brea.

Il gruppo di lavoro portò a termine l’opera per la festa dell’Assunta, nel Ferragosto del 1490, Vincenzo Foppa segnò in calce allo scomparto centrale la data del 5 agosto, Brea sotto  il san Giovanni Evangelista quella del 10 agosto.

Il capo cantiere ( Foppa) si riservò di dipingere i pannelli della fascia centrale, di quella laterale sinistra e della predella ( dove fanno bella mostra di sè gli stemmi rovereschi), avvalendosi qui e negli scoparti superiori di aiuti.

Al collega nizzardo (Brea) spettò tutta la parte destra : l’esame riflettografico ha appurato che nello scomparto con i padri della chiesa Ambrogio e Agostino, Brea ricalcò e rifece una stesura lasciata a mezzo dal Foppa.

Benché  si tenda a sottolineare il fatto che  Brea  abbia accolto i precisi suggerimenti del Foppa nell’articolazione dei panneggi, ci sono però delle differenze sostanziali , di tecnica e di cultura nel modo di operare.

Secondo gli studiosi, quella di Brea è una “pittura di luce” dai colori vivi che ha radici franco-fiamminghi ed è  diversa dal metodo del Foppa, che è fondato su un dettagliato disegno preparatorio, non di rado disatteso e si avvale dell’ausilio di incisioni nel delineare il tracciato prospettico, mentre la stesura cromatica è a sottili velature.

Il cardinale aveva chiesto al Foppa un’ancona di proporzioni grandiose, e il Polittico non deluse tale aspettativa.

E’ un’opera complessa, non comune nelle alte dimensioni, una struttura lignea di grande effetto decorativo, con nove statuine a figura intera in nicchiette (potente l’intaglio di quella di S. Pietro sull’asse centrale sopra la Madonna in trono), otto a mezzo busto e cinque in alto sul fastigio.

Molto belle quelle dell’angelo e di Maria Annunziata: figurette scolpite con forte plasticità, notevole ricerca realistica e definizione fisionomica, grande espressività in modellato rude, deciso.

Tutte con precisa funzione architettonica in stretto rapporto con le parti dipinte: sette tavole a tempera più cinque formelle componenti la predella.

Affascinante risulta la vivace armoniosa cromìa e l’oro che risplende sull’intaglio classico delle lesene “a candelabra” e su tutta la macchina lignea.

L’impianto del Polittico non è secondo la tipologia tradizionale, viva ancora in quegli anni in Liguria: c’è un distacco, una grandiosità nella concezione “spaziale” che sono novità di marca rinascimentale e le disarmonie e gli stridori si debbono addebitare a fattori legati alla certezza che la struttura architettonica sia stata montata dopo, la partenza da Savona del Foppa per Brescia, dove aveva ricevuto (dicembre 1489) la nomina per dirigere una scuola di pittura, essendo stato riconosciuto “pittore eccellentissimo”.

Si sa inoltre di sicuri rimaneggiamenti in periodi successivi.

Tutto  concorre a convogliare l’attenzione sulla linea centrale; delle tre sezioni in cui il Polittico è verticalmente diviso, le due ali, così come sono divaricate verso lo spettatore, assecondano questo effetto.

Le varie parti, dal basso verso l’alto, sono legate da quel significato ideologico che il committente, Cardinale  Giuliano Della Rovere, dettò al pittore ovvero l’idea del trionfo di Dio e della Chiesa.

Al centro il tema dell’adorazione: il futuro Papa Giulio II è inginocchiato presso il trono di Maria; a sinistra Giovanni il Precursore(il Battista) dietro a lui scene della sua vita: il  momento in cui manda i suoi discepoli da Gesù e il momento del battesimo di Gesù nel Giordano; nel pannello   a destra  Giovanni l’Evangelista, dietro di lui il miracolo dell’anello e quello del veleno nella coppa divenuto serpente; entrambe le figure  vogliono essere l’esaltazione dell’uomo toccato dalla grazia di Dio. Nel registro superiore, nelle nicchie al centro, S. Pietro, San Giorgio e san Michele; ai lati i quattro Dottori della Chiesa: S. Ambrogio e  S. Agostino (a destra) S. Gerolamo e  S. Gregorio (a sinistra ) sono il trionfo dell’uomo che si perpetua nella Chiesa.

In alto il tabernacolo-cuspide col Redentore è l’esaltazione insieme dell’uomo e di Dio (con gli Evangelisti: a destra Marco(leone) e Luca (bue), a sinistra Matteo(uomo alato) e Giovanni(aquila)

Il Polittico culmina nella statuina in alto di Gesù Risorto che regge il mondo e benedice.

Nel riquadro centrale la Madonna seduta, col Bimbo sul trono finemente intagliato è attorniata da angeli musicanti. Il Bambino tiene in mano un cardellino che è simbolo della Passione, questo uccellino si dice tolse le spine dalla corona di Gesù e il suo capo è rosso del sangue di Cristo.

Nella composizione rigorosamente calcolata, dominano cromaticamente il bleu profondo del manto ed il rosso brillante dell’abito di Maria e ancora il rosso della pesante veste cardinalizia del futuro Papa a mani giunte.

La bellezza formale è segnata dal forte chiaroscuro che il Foppa trae dal Mantenga e la profondità prospettica-illusionistica della scena, accentuata dal gioco della tarsia marmorea del pavimento, deriva dal Bramante suo diffusore per tutta l’area lombarda.

Sulla fascia scura, in basso corre la scritta dedicatoria: ANNO SALUTIS 1490DIE 5 AUGUSTI IUL.EPS.OSTIEN. CARD.S.P.ADVINCULA MAIORA NITENT VINCENCIUS PINXIT.

Nello scomparto di sinistra  San Giovanni il Precursore, nei toni cinerei, ha tutte le caratteristiche della pittura dell’artista bresciano: è una figura ascetica dal volto scavato e intenso; fiammeggiante il tono del rosso del panneggio a linee spezzate, tormentate.

A destra il discepolo prediletto, San Giovanni Evangelista, più dolce e sentimentale, lontano dalla profonda interiorità dell’altro, espressione della personalità diversa del pittore Ludovico Brea, chiamato a terminare il Polittico e che proprio qui, ai piedi del “suo” Giovanni, lasciò la firma(e la data 10 agosto 1490) sul segnalibro del Vangelo aperto.

Il Prof. Rotondi attribuisce al Foppa i drappeggi, con profili taglienti, del mantello sul ginocchio, facendo notare la differenza (andamento e qualità) di quelli della parte risalente trattenuta dal braccio.

L’intervento del Brea è da ricercare nel registro superiore, nei due Dottori della Chiesa S. Agostino e S. Ambrogio, nello scomparto dipinto, sul lato destro: le teste e le mani sono di questo pittore, mentre l’impostazione denuncia il Foppa.

Le due figure, le vesti con le pieghe, sono cariche del suo fascio luministico.

Anche gli Evangelisti Marco e Luca, a mezzo busto, esattamente sopra (sempre lato destro), dai volti sereni, dolci, levigati, sono opera del Nizzardo, con tutte le caratteristiche della sua  poetica, avendo, come già avevamo sottolineato, nei colori preziosi, una pittura piacevole di cultura franco-fiamminga; sono risolti frontalmente, ben lontani dagli intendimenti prospettici foppiani delle altre parti dipinte nel Polittico, tutte scorciate dal basso.

Nella ritmica predella, elegantemente intervallata dai piastrini con lo stemma dei Della Rovere, continua il rapporto ideologico che lega tutte le parti della grande ancona: i due episodi “S. Giovanni nell’isola di Patmos” dove scrive l’Apocalisse e “L’ascesa al cielo” sono corrispondenti e concludenti la figura e la storia dell’Evangelista.  A sinistra il” banchetto di Erode” con squisito gusto compositivo, nella felice esaltazione dei colori, si lega al dipinto sopra, a Giovanni Battista , e, nell’ultimo scomparto (ultimo atto della vita del Santo), la “decollazione”.

Al centro sotto l’adorazione del Cardinale a mani giunte innanzi al trono di Maria, è narrata l’Adorazione dei Re Magi: un piccolo capolavoro che ci rimanda  a  tanta pittura del più bel primo Rinascimento.

Questa grande pala riassume, l’intera esperienza pittorica del Foppa, prima dell’ultimo periodo, intenso di nuove “ricerche” in nuove “direzioni”. Si sentono gli influssi tardo gotici lombardi dei veneti Bellini, oltre al Bramante ed al Mantenga, quelli provenzali e la poetica di Pier della Francesca, ma soprattutto una inedita percezione naturalistica  della luce di derivazione fiamminga.

La storia della grande pala è tormentata ; anticamente situata nell’antico Duomo di Savona, subì l’attacco dei genovesi nel 1528.

Salvato dalla distruzione , il Polittico, nel ‘600, fu acquistato dalla Confraternita di Nostra Signora di Castello, fu rimaneggiato più volte per adattarlo alla struttura muraria,  si susseguirono ripetuti smontaggi e riassemblaggi, in occasione di ristrutturazioni (1644), o di restauri dell’edificio, come nel 1755-1757.

Le guerre contribuirono al travaglio del Polittico, da quelle di Successione all’ultimo conflitto mondiale, senza dimenticare le calamità naturali, come il terremoto del 1887, o l’incendio del 1909, che lo danneggiò sensibilmente , cancellando lo scomparto sinistro della predella, che impose un intervento conservativo, compiuto da Giovanni Zennari nel 1911, che  tolse  parte dei ritocchi apportati da Gio Agostino Ratti nel corso di un precedente restauro.

Dopo Zennari vi posero mano anche, Luciano Arrigoni, il Rubinacci, e  fu rimontata interamente nel 1953.

I Confratelli conservano nella vetrina di destra tre statuine rimosse dal Polittico nel 1946 dal Rubinacci durante il restauro del tempietto cuspidato. Per più di un aspetto rivelano la matrice lombarda e si ritengono del Foppa; quella intera è un Apostolo, le altre due hanno la parte inferiore del corpo aggiunta; erano state concepite a mezzo busto e rivelano qualità di sintesi formale  ricerca psicologica e forte espressività.

Nel 2001 si è avuto  l’ultimo restauro terminato nel 2006.

Il Polittico della Rovere, fu ospitato nella Pinacoteca Civica di Savona, fino al   31 marzo 2008 in quanto l’oratori era sotto restauro, dopo di che è tornato  nella sua sede, sopra l’altare maggiore dell’Oratorio di Nostra Signora di Castello.

un po’ di storia :

Il secolo XII è anche per Savona il secolo delle classi artigianali, che manifestano la loro forza nelle corporazioni. In questo clima, in cui la libertà individuale si manifestava attraverso l’appartenenza ad un gruppo, acquistano vitalità le Confraternite, che hanno diversamente dalle corporazioni, finalità spirituali in rapporto alla propria salvezza eterna, mediante le opere di misericordia.

Nel XIII secolo Savona riceve il forte influsso del francescanesimo per cui le opere di misericordia si uniscono ad una componente ascetica a carattere penitenziale. San Francesco assume un valore emblematico, diventando il modello dei penitenti.

La prima Confraternita a nascere a Savona nel 1260,  nel comprensorio dell’antica cittadella del Priamar, dietro l’antica Cattedrale, da cui prese il nome,  è la Confraternita di Nostra Signora di Castello. I confratelli si prodigavano nell’aiutare gli orfani, le vedove, i poveri, di seppellire i morti, in special modo coloro che non potevano permettersi un funerale. La denominazione “Disciplinanti” o “Battuti”,  per indicare i confratelli, deriva dalla “disciplina”, cioè il flagello che veniva utilizzato per le penitenze.

N.S di Castello fu la  prima Domus dei Disciplinanti, o “Battuti”, e i capitoli della Confraternita furono approvati nel 1266 da Papa Clemente IV , unendovi numerose indulgenze; in seguito altre venivano elargite da altri pontefici, tra cui Gregorio X (1229-1276)

Fu la prima confraternita a sorgere, in seguito ne vennero fondate altre nove lungo la “contrada batutorum.”

Con la vittoria di Genova su Savona nel 1528 , tutta la zona del Priamar viene distrutta e l’Oratorio, sede di N.S di Castello, cade sotto i picconi genovesi (1542-1543).

Nel 1544 (o 1547)  la Confraternita ricostruisce l’oratorio, nei pressi del convento francescano, l’odierna  via Manzoni. Come risulta da una lapide in ardesia tuttora esistente in oratorio:

“ I confratelli di N. S. di Castello compravano il sitto de la caza de S(anta) M(aria)  a da li R(everendi) di de S(anto) Fran(ces)co p(er) scuti ce(n)to venticinq(ue).

L’atto di acquisto completato nel 1563 è di 205 scudi totale.  Il cronista Agostino Abate testimonia che risorse per opera cittadina: “Fratelli e fedeli gareggiarono per restituirsi la prima Domus fondata. La costruzione sorge ancora  vicino al Duomo come  nel passato”.

I Confratelli acquistano, nel 1600,  il Polittico della Rovere opera di Vincenzo Foppa e Ludovico Brea (1490).  Il Polittico, sopravvissuto alla distruzione genovese,  era stato commissionato dal Cardinale Giuliano della Rovere, futuro Papa Giulio II, per l’antico Duomo di Savona.

La caratteristica cappa indossata dai confratelli, nel 1600 passa dal bianco originale al turchino con nastri dello stesso colore , risvolti delle maniche bianchi e cordone bianco ; questo cambiamento è dovuto all’aggregazione con l’Arciconfraternita di N.S. dell’Orto di Roma (di Ripa Grande), risalente al Giubileo del 20 aprile 1600 sotto Papa Clemente VIII.

Un incendio, nel 1755,  distrugge gran parte dell’Oratorio, la confraternita  dovette sostenere grandi spese per la ricostruzione e la maggior parte dei beni immobili viene venduta per far fronte alle riparazioni.

L’opera riesce e l’Oratorio viene adornato degli stucchi presenti tutt’ora (autore Giuseppe Petonti). Sempre del Petonti sono i due busti raffiguranti i Papi Giulio II e Sisto IV , che furono entrambi confratelli di N.S. di Castello.

Un altro grave colpo lo impartì il governo napoleonico con l’abolizione degli Enti di Culto. L’Oratorio subì ulteriori  assalti e danneggiamenti dalle truppe che vi furono frequentemente alloggiate (1795) ( i confratelli così si riuniscono nella cappella Sistina) e dall’essere anche trasformato in ospedale militare.(1808)

L’oratorio venne riaperto al culto nel 1830, a seguito del pagamento da parte dei Confratelli di  un riscatto di circa L. 1000.

Il piano regolatore di via Manzoni del 1889 comporta l’inserimento dell’oratorio nei nuovi edifici costruiti per regolarizzare la strada; i confratelli devono rinunciare al prospetto sulla via pubblica.

L’incendio del 1909, distrugge l’altare coinvolgendo lievemente il Polittico.

Con un salto temporale arriviamo al  1953  quando, dopo vari interventi di restauro nel corso degli anni il Polittico viene rimontato in oratorio.

Questa magnifica pala d’altare è stata restaurata recentemente negli anni 2001- 2006, mentre gli interni dell’oratorio e gli stucchi dal 2006 al 2008 .

 

mentre sopra di esso si impone il grandioso polittico di Vincenzo Foppa e Ludovico Brea del 1490, sopravvissuto alla distruzione dell’antica cattedrale del Priamar.

Sono presenti inoltre tre casse processionali portate a spalla durante la tradizionale processione del Venerdì Santo.

La prima è La pietà di Stefano Murialdo del 1833.

La seconda è La deposizione dalla croce di Filippo Martinengo e risale al 1793.

La terza è Il Cristo morto sulla croce, di scuola romana della metà del Cinquecento, donato nel 1728 dai Della Rovere.

Vi sono poi due crocefissi processionali: fine XVIII secolo e seconda metà XIX secolo con canti in argento del 1838. In controfacciata troviamo una tela della Madonna di Misericordia di Paolo Gerolamo Brusco e dietro di essa, l’organo a canne Agati di Pistoia del 1863, op. 497, restaurato dal M° Graziano Interbartolo nel 2011. Altre tele fanno bella mostra lungo le pareti e risalgono al XVIII secolo e XIX secolo. Non mancano un inginocchiatoio secentesco finemente intagliato, alcuni reliquiari e 6 Mazze Pastorali del priore e vicepriore. Due risalgono al 1920, due sono in argento della prima metà del XIX secolo e la terza coppia sono opera di Stefano Brilla e risalgono alla seconda metà dell’Ottocento.

Da segnalare infine il prezioso Reliquiario della Santa Croce in argento a tratti dorato, opera degli orafi Giusti di Savona del 1722 e scampato alle depredazioni napoleoniche.